17 gennaio 2010

"I NOSTRI FIGLI UCCISI DALLO STATO"

LIVORNO - Un corteo guidato da madri che chiedono verità e giustizia per i loro figli morti ammazzati in carcere, in piazza, qualcuno perfino nella propria abitazione. Storie diverse che hanno però un punto in comune: la voglia di sapere la verità. Perché queste madri non hanno dubbi, i loro figli non sono morti per “cause naturali” e non si sono suicidati: sono stati uccisi. E i sospetti in molti di queste storie cadono su secondini, carabinieri e poliziotti ovvero coloro che dovrebbero garantire l’incolumità dei cittadini e non il contrario. Sabato 16 gennaio a Livorno queste madri per la prima volta si sono riunite, si sono conosciute personalmente, hanno fatto fronte comune sfilando in corteo per le strade di Livorno chiedendo verità e giustizia. Anima della protesta Maria Ciuffi, madre di Marcello Lonzi, morto nel 2003 all’interno del carcere livornese delle Sughere in circostanze ancora da chiarire. 


Le testimonianze. Insieme a lei chiedono giustizia i genitori di altri ragazzi accomunati dallo stesso doloroso destino: i casi di Stefano Cucchi, Federico Aldrovandi e Carlo Giuliani sono noti alle cronache nazionali ma ve ne sono tanti, troppi, altri: Niki Aprile Gatti, Aldo Bianzino, Stefano Frapporti, Giulio Comuzzi e Riccardo Rasman solo per citarne alcuni. Un corteo pacifico, senza nessuna bandiera di partito per precisa volontà degli organizzatori, dove i partecipanti, circa un migliaio provenienti da varie parti d’Italia, hanno sfilato accompagnati dalle canzoni di Fabrizio De Andrè che hanno fatto da colonna sonora alle testimonianze di amici, genitori e parenti di queste “vittime dello Stato”. La prima è quella di Rita Cucchi, la madre di Stefano, morto a Roma dopo essere stato arrestato in circostanze controverse. Non era fisicamente presente alla manifestazione ma vi ha aderito idealmente inviando una lettera che è stata letta all'avvio del corteo: “Dobbiamo continuare a lottare per ridare dignità alla morte dei nostri figli e per continuare a chiedere verità e giustizia a quelle istituzioni nelle quali abbiamo ancora fiducia non solo come madri, ma come cittadine italiane. Quello che è accaduto a noi non deve capitare ad altri giovani e ad altri genitori, queste morti sono inaccettabili per uno stato democratico e civile come l’Italia”. 


Particolamente toccante la testimonianza di Ornella Gemini, madre di Niki Aprile Gatti, morto a 26 anni nel carcere fiorentino di Sollicciano: “Abbiamo voluto tenere fuori tutti i partiti da questa manifestazione perché quando abbiamo chiesto il loro aiuto ci hanno lasciato soli. Io ho scritto a tutti anche al ministro Alfano che non si è nemmeno degnato di rispondermi, nemmeno tre righe. La verità è che rispondono solo a chi vogliono – ha detto trattenendo a stento le lacrime - questo non è umano, non è normale, non è civile. Mio figlio era un ragazzo normale, incensurato, lavorava come tecnico informatico. Lo hanno accusato di una truffa informatica insieme ad altre persone ma in galera ci hanno sbattuto solo lui. In isolamento. Dopo quattro giorni era morto. Hanno detto che si era impiccato ma sono sicura che non è così”. 


“Ci hanno detto di chiudere”. Qualche polemica è nata sulla gestione della manifestazione sotto il profilo dell’ordine pubblico. A finire nel mirino sono state le autorità ree di aver blindato il centro cittadino per una manifestazione in cui il rischio di incidenti era praticamente nullo essendo organizzato e guidato da mamme. I negozi hanno accolto il corteo con le serrande abbassate per il timore di incidenti. Spiega una commessa: “Sono venute delle persone che ci hanno consigliato di chiudere avvertendoci che sarebbe passato un corteo per le vie del centro. Tra i commercianti della zona si è sparsa la voce e molti per sicurezza hanno chiuso ma non ci hanno detto chi e perché manifestava” .

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